Storia e Tradizione
Storia
Alla scoperta
del nostro passato
L'iniziativa fra storia e cronaca
I castelli di Grosio
Grosio, maggio 1983
Nei pressi di Grosio, su di un promontorio roccioso il cui andamento pressoche' parallelo al corso della valle dell'Adda costringe il retrostante torrente, dal prestigioso nome di Roasco, ad una netta deviazione verso Grosotto, sorgono, ben visibili a chi percorra la statale sottostante, i resti di due antichi castelli. Il meglio conservato, che prende nome di "Castello Nuovo (cosiddetto per distinguerlo da quello assai prossimo di S. Faustino, o Vecchio) costituisce, malgrado la sua condizione di rudere, uno degli esempi castellani piu' cospicui, interessanti ed attraenti dell'intera Valtellina". Dell'altro rimangono pochi ma significativi ruderi intorno al restante campaniletto romanico dell'antica chiesa castellana dedicata ai Santi Faustino e Giovita piu' generalmente essi vengono designati come "Castelli Visconti-Venosta" dal nome degli antichi feudatari, i Venosta, Signori di Matsch, che per un lungo periodo ebbero il predominio nell'alta valle dell'Adda.
L'esistenza di un terzo castello, di cui la voce popolare indica i resti sul sovrastante Dosso di Giroldo, e' testimoniata da alcuni antichi documenti. E' una prova ulteriore dell'importanza strategica di questi colli nei secoli andati, tuttavia cio' che piu' colpisce il visitatore meno superficiale e' la sensazione che il luogo, per la sua conformazione geologica, dovesse apparire come ideale rifugio, naturale e difendibile, ancor prima che vi si erigessero fortificazioni in muratura .
(Cio' si palesa piu' evidente all'osservazione dei ruderi del lato nord del Castello Vecchio).
Perduta col passare degli anni l'importanza strategica, i castelli di Grosio hanno continuato a destare l'interesse degli studiosi e dei cultori dell'antichita' e delle bellezze della nostra valle, ma soprattutto - ed e' cio' che piu' ha contato per la loro conservazione - di essi hanno avuto cura i discendenti degli antichi feudatari, che ne hanno mantenuto quasi ininterrottamente il possesso fino ai giorni nostri.
Abbiamo visto come il Castello Nuovo di Grosio sia considerato fra i piu' cospicui dell'intera valle e gia' percio' meritevole di tutela e di valorizzazione. Ma nessuno, prima che Davide Pace, indotto alla ricerca da un esercitato intuito scientifico, reperisse le prove dell'insediamento in quei luoghi di un antichissimo popolo, suppose mai che proprio li', sotto uno spesso manto di muschio e di vegetazione spontanea si celasse "Una stupenda roccia con incisioni preistoriche", "una imponente stazione di istoriazioni rupestri", di indubbia importanza sovranazionale.
Le ricerche iniziarono nel 1966. Da prima venne rilevato, sui Dossi di Giroldo e dei Castelli "un ricco sistema d'incisioni cupelliformi non privo di segni emblematici". Numerose coppelle quindi, canaletti, segni cruciformi, qualche rara figura antropomorfa, reperti che, per quanto importanti, traevano motivo d'interesse dal loro valore indiziario, piu' che intrinseco.
Era molto pero' per una valle cosi' povera di relitti dell'antichita'.
Di eccezionale importanza poi, era la copiosita' di quei segni e la loro concentrazione. Apparve chiaro che occorreva continuare nella ricerca che a quel punto ormai avrebbe certamente dato i risultati che i ricercatori si attendevano. Infatti nel 1970, specie sulla grande rupe a fianco del Castello Nuovo, vennero alla luce copiosissime figure antropomorfe, spesso raffiguranti scene di gruppo.
Non si trattava soltanto del complesso rupestre piu' importante fino allora (ma anche tuttora) segnalato in Valtellina, ma di un anello di una catena di stazioni preistoriche di interesse universale.
Le incisioni grosine, secondo il metodo di datazione proposto dal prof. Emmanuel Anati , andrebbero ascritte al primo dei quattro stili dell'arte camuna e quindi databili anteriormente al 2200 a.C. come asserisce il Pace senza peraltro accettare ne' rifiutare il "tentativo di datazione" citato.
L'ipotesi di datazione, per quanto impressionante, poco aggiunge all'importanza della scoperta. Si pensi che appena l'anno precedente l'inizio delle ricerche sui colli grosini, i relitti valtellinesi di eta' preistorica, di interesse internazionale, raggiungevano l'esiguo numero di sette, come si attesta in una autorevole pubblicazione locale.
Non tutti avevano guardato con scetticismo alle ricerche dell'archeologo monzese, anzi taluni le avevano incoraggiate e assecondate. La Soprintendenza alle Antichita' lombarda, di cui il Pace e' ispettore onorario (retta allora dal prof. Mirabella-Roberti), taluni organi di stampa locali e la Societa' Storica Valtellinese, in particolare. Quest'ultima, va detto, non attese le copiose scoperte del 1970 per dar credito alle ricerche del Pace e ben volentieri ospito' sul suo bollettino le comunicazioni di questi sull'evolversi delle rilevazioni.
Appena fu chiara la consistenza della scoperta, lo scopritore propose attraverso un articolo pubblicato dal "Corriere della Valtellina" che la zona archeologica dei castelli di Grosio venisse assicurata alla dignita' e alla tutela di riserva geologica e archeologica. Successivamente lo stesso Pace ribadi' tale proposta con una lettera indirizzata ad alcuni enti fra cui l'Amministrazione Provinciale di Sondrio, la quale, avendo seguito fin dall'inizio con attenzione l'opera disvelatrice del Pace, non aveva mancato di sottolineare in sede regionale la necessita' di una opportuna tutela delle incisioni reperite e dell'intera zona potenzialmente archeologica.
Nel 1973, la Commissione provinciale per l'individuazione delle zone di possibile tutela-istituita come emanazione della Commissione per la salvaguardia dei parchi lombardi promossa dal Consiglio regionale - approvo' unanimemente la proposta di istituzione di una riserva naturalistica-archeologica-monumentale a tutela dei colli grosini, ascrivendo l'iniziativa ai primissimi posti nel nutrito elenco relativo alla provincia di Sondrio.
Alla redazione della scheda scientifica prevista, provvide, per incarico della commissione, di cui era membro, lo stesso archeologo scopritore.
STORIA
La storia di Grosio, intimamente legata a quella della Valtellina,
ne segui' le vicissitudini nell'andare dei secoli.
L'antica origine e' confermata dall'etimo "gros" e dal suffisso
"asco" abbastanza ricorrente nella toponomastica locale
(Roasco - Redasco ecc.). Un'altra prova di un antico insediamento
nel territorio di Grosio si ha (in alcune pietre lavorate) in
alcune incisioni rupestri. Altrettanto esili sono le testimonianze
del periodo romano; a Grosio si sono trovate alcune monete che
inducono gli studiosi ad affermare che la zona fu unita al municipio
di Como.
Il lungo arco del Medio Evo si chiude con scarse notizie.
Grosio risente minimamente le invasioni dei barbari (Longobardi - Franchi)
e resta a far parte della Pieve di Mazzo, diocesi di Como.
La dedicazione dell'antica chiesa a San Giorgio fa pensare a
una influenza longobarda cosi' come alcuni secolari diritti
sui boschi e sulle acque.
I primi secoli del mille riscontrano
l'insediamento nella Pieve di Mazzo di una potente famiglia alto-atesina,
i Venosta, dal nome della Valle omonima. Grosio diventa il centro del loro
piccolo feudo e proprio a Grosio nel 1236 nasce quel Corrado Venosta che
diventera' un personaggio di notevole rilievo storico.
Sempre in
questi secoli giungono a Grosio diverse famiglie esuli dal territorio
comasco per le faide tra Guelfi e Ghibellini, che costituiranno il
tessuto civile del paese per i secoli venturi .
La piu'
antica pergamena del comune di Grosio e' del 30 dicembre 1292 e
guardacaso riguarda una compravendita di un terreno in Val Grosina,
punto fermo dello sviluppo mercantilistico del paese.
I
Venosta nel frattempo divenuti Visconti Venosta per i vincoli
che li legavano ai Visconti, signori di Milano, erano i
feudatari del paese e controllavano il munitissimo Castello
allo sbocco della Val Grosina, un punto chiave per la
difesa di tutta la Valtellina.
Nel 1600 Grosio partecipa
alla rivolta contro la dominazione grigiona, anche se nel
paese c'erano alcune famiglie protestanti che per altro vennero
rispettate. Un secolo e mezzo di pace grigiona, la rivoluzione
francese, la Valtellina unita alla Lombardia, vedono Grosio in
posizione subalterna. Seguono qualche fermento nel periodo
risorgimentale, l'unione all'Italia e i lunghi riposi grosini
di un grande ministro degli esteri: Emilio Visconti Venosta.
Poi la storia di Grosio si identifica ancora di piu' con la
storia d'Italia: la grande guerra, la seconda guerra mondiale,
la Resistenza. Se c'e' una costante storica da rimarcare e'
la mai interrotta capacita' organizzativa della comunita' di
Grosio nei commerci e nelle attivita' artistiche.
Margherita Visconti Venosta,
con riconoscenza
Carlo Rodolfi - presidente del Consorzio per il parco
delle incisioni rupestri di Grosio.
ALLA SCOPERTA DEL NOSTRO PASSATO
Il Parco delle Incisioni Rupestri di Grosio
Il complesso petroglifico di Grosio, in Valtellina
(Provincia di Sondrio), venne scoperto nel 1966 dal Prof
Davide Pace che rinvenne una serie di rocce coppellate sul
Dosso Giroldo e successivamente, tra il 1970 ed il 1971,
porto' alla luce alcune figure antropomorfe sulle rocce del
colle Giroldo e su una grande roccia presso il Dosso dei Due
Castelli. Questa roccia, formata da micascisti levigati dai
ghiacciai wurmiani, denominata Rupe Magna per le sue grandi
dimensioni, dopo un trattamento di pulizia, restauro,
rilievo e catalogazione, ha rivelato una grande
concentrazione di arte figurativa, con la presenza
di migliaia di figure incise che ne fanno la piu'
estesa ed istoriata roccia d'Europa. Anche nel soprastante
Dosso Giroldo si trovano numerose rocce incise (piu' di
quaranta) di dimensioni piu' piccole ma intensamente
istoriate. E' assai probabile che le figure incise sul
Dosso Giroldo e sulla Rupe Magna assommino a circa 20.000:
il complesso petroglifico grosino costituirebbe pertanto
la terza area alpina per numero di raffigurazioni, dopo
la Valcamonica ed il Monte Bego.
Le incisioni sono
state incise con la tecnica della picchiettatura
utilizzando blocchetti di quarzo che venivano reperiti
in loco. Le incisioni realizzate a graffito sono poche:
si conoscono solo alcune incisioni a solco continuo
(polissoir) all'estremita' destra della roccia.
Al momento della scoperta quasi la totalita' delle
rocce era all'aria aperta e solo muschi e licheni
obliteravano le istoriazioni. Come si e' gia' detto,
gli interventi di restauro sulla Rupe Magna hanno
permesso di evidenziare la quasi totalita' della
superficie incisa. Rimangono ancora, nella parte
inferiore della roccia, delle zone parzialmente
ricoperte da terreno vegetale in cui si nota la
presenza di incisioni. La Rupe continua anche
all'interno dei Castelli, sotto le costruzioni
medioevali, e in alcuni punti si e' notata la
presenza di figurazioni antropomorfe.
Al
momento sono state individuate quattro fasi
istoriative di epoca preistorica: il I periodo
corrisponde al IV-III Millennio a.C. (Neolitico-eta'
del Rame), il II ed il III periodo sono da riferire
al II Millennio a.C. (eta' del Bronzo), il IV
periodo va attribuito all'eta' del Ferro.
Le incisioni medioevali sono poche.
La prima fase di istoriazione e probabilmente
costituita da alcune figure di spirali, di
collariformi e di rappresentazioni topografiche,
figurazioni databili per confronti stilistici e
per sovrapposizioni a fasi finali del Neolitico
e all'eta' del Rame.
Sulle rocce vi sono anche
diverse zone riservate a coppelle e canaletti
che a volte si sovrappongono a figurazioni
antropomorfe. La difficolta' di giungere ad
una datazione e ad una interpretazione di
quest'arte rupestre non figurativa e ben nota
e qui si ripropone un tutta la sua gravita'.
La seconda fase istoriativa e rappresentata,
cosi' come mostrano le sovrapposizioni, da una serie
di antropomorfi non armati, nello schema dell'orante,
con arti arcuati ad U. Questi oranti ricordano
innegabilmente figurazioni camune collocabili
all'eta' del Bronzo Medio-Recente. Da notare,
tra queste figure, anche rappresentazioni femminili
con gli attributi sessuali evidenziati come nelle
incisioni in Valcamonica: una coppella in mezzo
alle gambe e due ai lati del busto.
Le figure con
arti arcuati sono costantemente sottoposte alle
altre figure di oranti schematici con arti
rigidamente contrapposti e mostrano spesso una
parvenza di movimento.
Una duplice lunga
figura serpentiforme e probabilmente da attribuire
a questa fase. Raggiungendo i 20 metri e' con
certezza la figura piu' lunga nell'arte rupestre
alpina e una delle piu' lunghe del mondo. La figura
piu' lunga del mondo resta un serpente dipinto
nell'arte rupestre australiana.
Gran parte
delle figure di oranti schematici, con arti
ortogonali rispetto ai busto e rigidamente
contrapposti, e' in realta' armata, e quindi
queste figure non possono essere definite
"oranti". Infatti molti impugnano piccoli
scudi e brevi spade o bastoni con cui sembrano
affrontarsi in una sorta di duello. Numerosi
armati, infatti, si presentano a coppie o a
gruppi di tre, dove il terzo personaggio e un
giudice o un altro duellante in attesa di
combattere col vincitore dell'agone precedente.
Tra questi duellanti dobbiamo includere anche i
famosi "oranti saltici", un gruppo formato da
tre coppie di duellanti che sembrano impugnare
un piccolo bastone ed uno oggetto circolare,
forse uno scudo o un piccolo tamburo. Questi
duellanti sono paragonabili, per dimensioni e
armamento ad alcune figure schematiche armate
che compaiono in Valcamonica
(Foppe di Nadro e
Naquane) e databili alla fine dell'eta' del
Bronzo.
Dopo questa, che potremmo chiamare
la terza fase istoriativa (che pare protrarsi
sino all'VIII sec. a.C.), inizia l'ultima fase
preistorica, quella dell'eta' del Ferro, che
trova numerosi confronti nella coeva arte rupestre
camuna. Si tratta di figurazioni schematiche
di guerrieri, delineati con un busto a
bastoncino, le braccia aperte, distese
perpendicolarmente rispetto al busto, e
le gambe aperte a triangolo con i piedi
rivolti in direzioni opposte. Le armi sono
una lancia ed uno scudo di forma ovale. A
volte questi armati indossano anche un elmo
a calotta, tipo che si diffonde dall'Italia
centrale tra il VII ed il VI sec. a.C.
Successivamente lo stile figurativo di
questi guerrieri cambia A diviene simile
allo stile camuno delle fasi centrali
dell'eta' del Ferro: il busto si ingrossa,
vi e l'accentuazione dei muscoli e alcune
, figure raggiungono notevoli dimensioni.
L'armamento preferito in questa sottofase
e formato dalla spada e dallo scudo
rotondo. Poche le figure zoomorfe, tra
cui si riconoscono dei cani, dei capridi
e dei suidi. Solo due le figure di
cavalieri.
La fase istoriativa
dell'eta' del Ferro sembra
interrompersi bruscamente,
forse verso la fine del VI sec. a.C. Sulla Rupe Magna non abbiamo, infatti, il caratteristico stile naturalistico ed i motivi tipici riscontrabili nell'arte camuna del V sec. a.C.: mancano soprattutto le iscrizioni nell'alfabeto retico (l'alfabeto cosiddetto di Sondrio per le iscrizioni rinvenuto su due stele a Tresivio e a Montagna, altrimenti detto Camuno) che in Valcamonica compaiono a partire dalla fine del V sec. a.C.
Per l'interpretazione dell'arte rupestre grosina, soprattutto per quella delle fasi Il-III-IV, puo' essere utile il confronto con l'arte camuna. Nella fase II si trovano quelle che possono essere definite le prime scene in cui subito e' chiaro che la predominanza figurativa spetta alle rappresentazioni antropomorfe. Nella III fase compaiono le prime figure di armati, guerrieri e duellanti: questi possono essere considerati, come in Valcamonica, i doni votivi espressi sulla roccia in occasione dei riti di iniziazione della gioventu' dell'aristocrazia guerriera. In che consistessero questi riti non ci e' dato a sapere: vediamo pero che gli agoni guerreschi dovevano avervi grande parte, forse insieme alla caccia al capride selvatico e al cinghiale, e alle danze armate. Oppure le medesime scene di duello potrebbero essere interpretate come la rappresentazione realistica di tornei guerreschi che si svolgevano, come nel medioevo, durante alcune feste religiose.
E' interessante notare che gli scavi stratigrafici, intrapresi dalla Soprintendenza Archeologica della Lombardia, paiono confermare il carattere di sacralita' della Rupe Magna: infatti le prime strutture abitative sembrano comparire solo dopo la fine dell'attivita' istoriativa. E' evidente che, come accade tutt'oggi in molte societa' dove l'arte rupestre ha ancora una tradizione attiva, le aree ove si trovavano le incisioni rupestri non potevano essere abitate e dovevano essere utilizzate probabilmente solo per scopi rituali.
Il Parco delle incisioni Rupestri di Grosio e' un Museo all'aperto gestito da un Consorzio sorto fra la Provincia di Sondrio, la Comunita' Montarla Valtellina di Tirano e i Comuni di Grosio e di Grosotto per assicurare la tutela, la valorizzazione la pubblica fruizione dei beni archeologici, etnografici ed ambientali insistenti sul suo territorio.
La Direzione del Parco ha sede a Grosio presso la Villa-Museo Visconti Venosta ed e' dotata di un centro di documentazione dove sono ordinati i rilievi delle incisioni, una biblioteca specializzata (che costituisce un settore della biblioteca comunale) e una fototeca
L'opera di promozione condotta dal parco si e' anche concretata nella pubblicazione di diversi volumi, nell'organizzazione di mostre e di convegni e nella realizzazione di filmati
L'ingresso al Parco e' libero ad esclusione delle aree archeologiche custodite visitabili in orari variabili a seconda delle ragioni. Per informazioni e per visite guidate telefonare al n. 0342-847454.
Testo a cura della Cooperativa
Archeologica Le Orme dell'Uomo
(Arca' A. - Fossati A. - Tognoni E.
- Marchi E.)
P.zza Donatori di Sangue, 1 - 25040 Cerveno (BS)
Tel.: 0364/433983 - Fax: 0364/434351 - E-mail: aarca@mailer.inrete.it
Per informazioni rivolgersi a:
CONSORZIO PER IL PARCO DELLE INCISIONI RUPESTRI DI GROSIO
Uffici del Parco: Ca' del Cap
Tel.-Fax: (+39) 0342/847233
E-mail: info@parcoincisionigrosio.191.it
Sede legale: Villa Visconti Venosta
Tel.: (+39) 0342/841228
Via Visconti Venosta, 2 - 23033 Grosio (Sondrio)
Gli orari di apertura della Ca' del Cap sono:
ESTATE: tutti i giorni dalle 10.30 alle 12.30 e dalle 14.00 alle 18.00
INVERNO: sabato e domenica dalle 10.00 alle 12.30 e dalle 13.30 alle 17.00 (gli altri giorni su prenotazione)
L'INIZIATIVA FRA STORIA E CRONACA
di Buno Ciapponi
Nel medesimo anno (1973), la Marchesa Margherita Visconti-Venosta, ultima erede dell'illustre casata valtellinese e proprietaria dei castelli e di gran parte del territorio interessante il parco, rese nota la sua volonta' di donare i resti dei castelli e gli adiacenti terreni, allo scopo di accelerare la costituzione della riserva.