GROSIO

Storia e Tradizione


Storia
Alla scoperta del nostro passato
L'iniziativa fra storia e cronaca
I castelli di Grosio


STORIA



La storia di Grosio, intimamente legata a quella della Valtellina, ne segui' le vicissitudini nell'andare dei secoli.
L'antica origine e' confermata dall'etimo "gros" e dal suffisso "asco" abbastanza ricorrente nella toponomastica locale (Roasco - Redasco ecc.). Un'altra prova di un antico insediamento nel territorio di Grosio si ha (in alcune pietre lavorate) in alcune incisioni rupestri. Altrettanto esili sono le testimonianze del periodo romano; a Grosio si sono trovate alcune monete che inducono gli studiosi ad affermare che la zona fu unita al municipio di Como.
Il lungo arco del Medio Evo si chiude con scarse notizie. Grosio risente minimamente le invasioni dei barbari (Longobardi - Franchi) e resta a far parte della Pieve di Mazzo, diocesi di Como. La dedicazione dell'antica chiesa a San Giorgio fa pensare a una influenza longobarda cosi' come alcuni secolari diritti sui boschi e sulle acque.
I primi secoli del mille riscontrano l'insediamento nella Pieve di Mazzo di una potente famiglia alto-atesina, i Venosta, dal nome della Valle omonima. Grosio diventa il centro del loro piccolo feudo e proprio a Grosio nel 1236 nasce quel Corrado Venosta che diventera' un personaggio di notevole rilievo storico.
Sempre in questi secoli giungono a Grosio diverse famiglie esuli dal territorio comasco per le faide tra Guelfi e Ghibellini, che costituiranno il tessuto civile del paese per i secoli venturi .
La piu' antica pergamena del comune di Grosio e' del 30 dicembre 1292 e guardacaso riguarda una compravendita di un terreno in Val Grosina, punto fermo dello sviluppo mercantilistico del paese.
I Venosta nel frattempo divenuti Visconti Venosta per i vincoli che li legavano ai Visconti, signori di Milano, erano i feudatari del paese e controllavano il munitissimo Castello allo sbocco della Val Grosina, un punto chiave per la difesa di tutta la Valtellina.
Nel 1600 Grosio partecipa alla rivolta contro la dominazione grigiona, anche se nel paese c'erano alcune famiglie protestanti che per altro vennero rispettate. Un secolo e mezzo di pace grigiona, la rivoluzione francese, la Valtellina unita alla Lombardia, vedono Grosio in posizione subalterna. Seguono qualche fermento nel periodo risorgimentale, l'unione all'Italia e i lunghi riposi grosini di un grande ministro degli esteri: Emilio Visconti Venosta. Poi la storia di Grosio si identifica ancora di piu' con la storia d'Italia: la grande guerra, la seconda guerra mondiale, la Resistenza. Se c'e' una costante storica da rimarcare e' la mai interrotta capacita' organizzativa della comunita' di Grosio nei commerci e nelle attivita' artistiche.

Alla memoria di
Margherita Visconti Venosta,
con riconoscenza

Grosio, maggio 1983
Carlo Rodolfi - presidente del Consorzio per il parco delle incisioni rupestri di Grosio.


ALLA SCOPERTA DEL NOSTRO PASSATO


Il Parco delle Incisioni Rupestri di Grosio

Il complesso petroglifico di Grosio, in Valtellina (Provincia di Sondrio), venne scoperto nel 1966 dal Prof Davide Pace che rinvenne una serie di rocce coppellate sul Dosso Giroldo e successivamente, tra il 1970 ed il 1971, porto' alla luce alcune figure antropomorfe sulle rocce del colle Giroldo e su una grande roccia presso il Dosso dei Due Castelli. Questa roccia, formata da micascisti levigati dai ghiacciai wurmiani, denominata Rupe Magna per le sue grandi dimensioni, dopo un trattamento di pulizia, restauro, rilievo e catalogazione, ha rivelato una grande concentrazione di arte figurativa, con la presenza di migliaia di figure incise che ne fanno la piu' estesa ed istoriata roccia d'Europa. Anche nel soprastante Dosso Giroldo si trovano numerose rocce incise (piu' di quaranta) di dimensioni piu' piccole ma intensamente istoriate. E' assai probabile che le figure incise sul Dosso Giroldo e sulla Rupe Magna assommino a circa 20.000: il complesso petroglifico grosino costituirebbe pertanto la terza area alpina per numero di raffigurazioni, dopo la Valcamonica ed il Monte Bego.
Le incisioni sono state incise con la tecnica della picchiettatura utilizzando blocchetti di quarzo che venivano reperiti in loco. Le incisioni realizzate a graffito sono poche: si conoscono solo alcune incisioni a solco continuo (polissoir) all'estremita' destra della roccia.
Al momento della scoperta quasi la totalita' delle rocce era all'aria aperta e solo muschi e licheni obliteravano le istoriazioni. Come si e' gia' detto, gli interventi di restauro sulla Rupe Magna hanno permesso di evidenziare la quasi totalita' della superficie incisa. Rimangono ancora, nella parte inferiore della roccia, delle zone parzialmente ricoperte da terreno vegetale in cui si nota la presenza di incisioni. La Rupe continua anche all'interno dei Castelli, sotto le costruzioni medioevali, e in alcuni punti si e' notata la presenza di figurazioni antropomorfe.
Al momento sono state individuate quattro fasi istoriative di epoca preistorica: il I periodo corrisponde al IV-III Millennio a.C. (Neolitico-eta' del Rame), il II ed il III periodo sono da riferire al II Millennio a.C. (eta' del Bronzo), il IV periodo va attribuito all'eta' del Ferro. Le incisioni medioevali sono poche.
La prima fase di istoriazione e probabilmente costituita da alcune figure di spirali, di collariformi e di rappresentazioni topografiche, figurazioni databili per confronti stilistici e per sovrapposizioni a fasi finali del Neolitico e all'eta' del Rame. Sulle rocce vi sono anche diverse zone riservate a coppelle e canaletti che a volte si sovrappongono a figurazioni antropomorfe. La difficolta' di giungere ad una datazione e ad una interpretazione di quest'arte rupestre non figurativa e ben nota e qui si ripropone un tutta la sua gravita'.
La seconda fase istoriativa e rappresentata, cosi' come mostrano le sovrapposizioni, da una serie di antropomorfi non armati, nello schema dell'orante, con arti arcuati ad U. Questi oranti ricordano innegabilmente figurazioni camune collocabili all'eta' del Bronzo Medio-Recente. Da notare, tra queste figure, anche rappresentazioni femminili con gli attributi sessuali evidenziati come nelle incisioni in Valcamonica: una coppella in mezzo alle gambe e due ai lati del busto. Le figure con arti arcuati sono costantemente sottoposte alle altre figure di oranti schematici con arti rigidamente contrapposti e mostrano spesso una parvenza di movimento.
Una duplice lunga figura serpentiforme e probabilmente da attribuire a questa fase. Raggiungendo i 20 metri e' con certezza la figura piu' lunga nell'arte rupestre alpina e una delle piu' lunghe del mondo. La figura piu' lunga del mondo resta un serpente dipinto nell'arte rupestre australiana.
Gran parte delle figure di oranti schematici, con arti ortogonali rispetto ai busto e rigidamente contrapposti, e' in realta' armata, e quindi queste figure non possono essere definite "oranti". Infatti molti impugnano piccoli scudi e brevi spade o bastoni con cui sembrano affrontarsi in una sorta di duello. Numerosi armati, infatti, si presentano a coppie o a gruppi di tre, dove il terzo personaggio e un giudice o un altro duellante in attesa di combattere col vincitore dell'agone precedente. Tra questi duellanti dobbiamo includere anche i famosi "oranti saltici", un gruppo formato da tre coppie di duellanti che sembrano impugnare un piccolo bastone ed uno oggetto circolare, forse uno scudo o un piccolo tamburo. Questi duellanti sono paragonabili, per dimensioni e armamento ad alcune figure schematiche armate che compaiono in Valcamonica (Foppe di Nadro e Naquane) e databili alla fine dell'eta' del Bronzo.
Dopo questa, che potremmo chiamare la terza fase istoriativa (che pare protrarsi sino all'VIII sec. a.C.), inizia l'ultima fase preistorica, quella dell'eta' del Ferro, che trova numerosi confronti nella coeva arte rupestre camuna. Si tratta di figurazioni schematiche di guerrieri, delineati con un busto a bastoncino, le braccia aperte, distese perpendicolarmente rispetto al busto, e le gambe aperte a triangolo con i piedi rivolti in direzioni opposte. Le armi sono una lancia ed uno scudo di forma ovale. A volte questi armati indossano anche un elmo a calotta, tipo che si diffonde dall'Italia centrale tra il VII ed il VI sec. a.C.
Successivamente lo stile figurativo di questi guerrieri cambia A diviene simile allo stile camuno delle fasi centrali dell'eta' del Ferro: il busto si ingrossa, vi e l'accentuazione dei muscoli e alcune , figure raggiungono notevoli dimensioni. L'armamento preferito in questa sottofase e formato dalla spada e dallo scudo rotondo. Poche le figure zoomorfe, tra cui si riconoscono dei cani, dei capridi e dei suidi. Solo due le figure di cavalieri.
La fase istoriativa dell'eta' del Ferro sembra interrompersi bruscamente, forse verso la fine del VI sec. a.C. Sulla Rupe Magna non abbiamo, infatti, il caratteristico stile naturalistico ed i motivi tipici riscontrabili nell'arte camuna del V sec. a.C.: mancano soprattutto le iscrizioni nell'alfabeto retico (l'alfabeto cosiddetto di Sondrio per le iscrizioni rinvenuto su due stele a Tresivio e a Montagna, altrimenti detto Camuno) che in Valcamonica compaiono a partire dalla fine del V sec. a.C.
Per l'interpretazione dell'arte rupestre grosina, soprattutto per quella delle fasi Il-III-IV, puo' essere utile il confronto con l'arte camuna. Nella fase II si trovano quelle che possono essere definite le prime scene in cui subito e' chiaro che la predominanza figurativa spetta alle rappresentazioni antropomorfe. Nella III fase compaiono le prime figure di armati, guerrieri e duellanti: questi possono essere considerati, come in Valcamonica, i doni votivi espressi sulla roccia in occasione dei riti di iniziazione della gioventu' dell'aristocrazia guerriera. In che consistessero questi riti non ci e' dato a sapere: vediamo pero che gli agoni guerreschi dovevano avervi grande parte, forse insieme alla caccia al capride selvatico e al cinghiale, e alle danze armate. Oppure le medesime scene di duello potrebbero essere interpretate come la rappresentazione realistica di tornei guerreschi che si svolgevano, come nel medioevo, durante alcune feste religiose.
E' interessante notare che gli scavi stratigrafici, intrapresi dalla Soprintendenza Archeologica della Lombardia, paiono confermare il carattere di sacralita' della Rupe Magna: infatti le prime strutture abitative sembrano comparire solo dopo la fine dell'attivita' istoriativa. E' evidente che, come accade tutt'oggi in molte societa' dove l'arte rupestre ha ancora una tradizione attiva, le aree ove si trovavano le incisioni rupestri non potevano essere abitate e dovevano essere utilizzate probabilmente solo per scopi rituali.
Il Parco delle incisioni Rupestri di Grosio e' un Museo all'aperto gestito da un Consorzio sorto fra la Provincia di Sondrio, la Comunita' Montarla Valtellina di Tirano e i Comuni di Grosio e di Grosotto per assicurare la tutela, la valorizzazione la pubblica fruizione dei beni archeologici, etnografici ed ambientali insistenti sul suo territorio. La Direzione del Parco ha sede a Grosio presso la Villa-Museo Visconti Venosta ed e' dotata di un centro di documentazione dove sono ordinati i rilievi delle incisioni, una biblioteca specializzata (che costituisce un settore della biblioteca comunale) e una fototeca L'opera di promozione condotta dal parco si e' anche concretata nella pubblicazione di diversi volumi, nell'organizzazione di mostre e di convegni e nella realizzazione di filmati L'ingresso al Parco e' libero ad esclusione delle aree archeologiche custodite visitabili in orari variabili a seconda delle ragioni. Per informazioni e per visite guidate telefonare al n. 0342-847454.


Testo a cura della Cooperativa Archeologica Le Orme dell'Uomo
(Arca' A. - Fossati A. - Tognoni E. - Marchi E.)
P.zza Donatori di Sangue, 1 - 25040 Cerveno (BS)
Tel.: 0364/433983 - Fax: 0364/434351 - E-mail:
aarca@mailer.inrete.it
Per informazioni rivolgersi a:

CONSORZIO PER IL PARCO DELLE INCISIONI RUPESTRI DI GROSIO

Uffici del Parco: Ca' del Cap
Tel.-Fax: (+39) 0342/847233
E-mail: info@parcoincisionigrosio.191.it

Sede legale: Villa Visconti Venosta
Tel.: (+39) 0342/841228
Via Visconti Venosta, 2 - 23033 Grosio (Sondrio)

Gli orari di apertura della Ca' del Cap sono:
ESTATE: tutti i giorni dalle 10.30 alle 12.30 e dalle 14.00 alle 18.00
INVERNO: sabato e domenica dalle 10.00 alle 12.30 e dalle 13.30 alle 17.00 (gli altri giorni su prenotazione)


L'INIZIATIVA FRA STORIA E CRONACA


di Buno Ciapponi



Nei pressi di Grosio, su di un promontorio roccioso il cui andamento pressoche' parallelo al corso della valle dell'Adda costringe il retrostante torrente, dal prestigioso nome di Roasco, ad una netta deviazione verso Grosotto, sorgono, ben visibili a chi percorra la statale sottostante, i resti di due antichi castelli. Il meglio conservato, che prende nome di "Castello Nuovo (cosiddetto per distinguerlo da quello assai prossimo di S. Faustino, o Vecchio) costituisce, malgrado la sua condizione di rudere, uno degli esempi castellani piu' cospicui, interessanti ed attraenti dell'intera Valtellina". Dell'altro rimangono pochi ma significativi ruderi intorno al restante campaniletto romanico dell'antica chiesa castellana dedicata ai Santi Faustino e Giovita piu' generalmente essi vengono designati come "Castelli Visconti-Venosta" dal nome degli antichi feudatari, i Venosta, Signori di Matsch, che per un lungo periodo ebbero il predominio nell'alta valle dell'Adda. L'esistenza di un terzo castello, di cui la voce popolare indica i resti sul sovrastante Dosso di Giroldo, e' testimoniata da alcuni antichi documenti. E' una prova ulteriore dell'importanza strategica di questi colli nei secoli andati, tuttavia cio' che piu' colpisce il visitatore meno superficiale e' la sensazione che il luogo, per la sua conformazione geologica, dovesse apparire come ideale rifugio, naturale e difendibile, ancor prima che vi si erigessero fortificazioni in muratura . (Cio' si palesa piu' evidente all'osservazione dei ruderi del lato nord del Castello Vecchio). Perduta col passare degli anni l'importanza strategica, i castelli di Grosio hanno continuato a destare l'interesse degli studiosi e dei cultori dell'antichita' e delle bellezze della nostra valle, ma soprattutto - ed e' cio' che piu' ha contato per la loro conservazione - di essi hanno avuto cura i discendenti degli antichi feudatari, che ne hanno mantenuto quasi ininterrottamente il possesso fino ai giorni nostri. Abbiamo visto come il Castello Nuovo di Grosio sia considerato fra i piu' cospicui dell'intera valle e gia' percio' meritevole di tutela e di valorizzazione. Ma nessuno, prima che Davide Pace, indotto alla ricerca da un esercitato intuito scientifico, reperisse le prove dell'insediamento in quei luoghi di un antichissimo popolo, suppose mai che proprio li', sotto uno spesso manto di muschio e di vegetazione spontanea si celasse "Una stupenda roccia con incisioni preistoriche", "una imponente stazione di istoriazioni rupestri", di indubbia importanza sovranazionale. Le ricerche iniziarono nel 1966. Da prima venne rilevato, sui Dossi di Giroldo e dei Castelli "un ricco sistema d'incisioni cupelliformi non privo di segni emblematici". Numerose coppelle quindi, canaletti, segni cruciformi, qualche rara figura antropomorfa, reperti che, per quanto importanti, traevano motivo d'interesse dal loro valore indiziario, piu' che intrinseco. Era molto pero' per una valle cosi' povera di relitti dell'antichita'. Di eccezionale importanza poi, era la copiosita' di quei segni e la loro concentrazione. Apparve chiaro che occorreva continuare nella ricerca che a quel punto ormai avrebbe certamente dato i risultati che i ricercatori si attendevano. Infatti nel 1970, specie sulla grande rupe a fianco del Castello Nuovo, vennero alla luce copiosissime figure antropomorfe, spesso raffiguranti scene di gruppo. Non si trattava soltanto del complesso rupestre piu' importante fino allora (ma anche tuttora) segnalato in Valtellina, ma di un anello di una catena di stazioni preistoriche di interesse universale. Le incisioni grosine, secondo il metodo di datazione proposto dal prof. Emmanuel Anati , andrebbero ascritte al primo dei quattro stili dell'arte camuna e quindi databili anteriormente al 2200 a.C. come asserisce il Pace senza peraltro accettare ne' rifiutare il "tentativo di datazione" citato. L'ipotesi di datazione, per quanto impressionante, poco aggiunge all'importanza della scoperta. Si pensi che appena l'anno precedente l'inizio delle ricerche sui colli grosini, i relitti valtellinesi di eta' preistorica, di interesse internazionale, raggiungevano l'esiguo numero di sette, come si attesta in una autorevole pubblicazione locale. Non tutti avevano guardato con scetticismo alle ricerche dell'archeologo monzese, anzi taluni le avevano incoraggiate e assecondate. La Soprintendenza alle Antichita' lombarda, di cui il Pace e' ispettore onorario (retta allora dal prof. Mirabella-Roberti), taluni organi di stampa locali e la Societa' Storica Valtellinese, in particolare. Quest'ultima, va detto, non attese le copiose scoperte del 1970 per dar credito alle ricerche del Pace e ben volentieri ospito' sul suo bollettino le comunicazioni di questi sull'evolversi delle rilevazioni. Appena fu chiara la consistenza della scoperta, lo scopritore propose attraverso un articolo pubblicato dal "Corriere della Valtellina" che la zona archeologica dei castelli di Grosio venisse assicurata alla dignita' e alla tutela di riserva geologica e archeologica. Successivamente lo stesso Pace ribadi' tale proposta con una lettera indirizzata ad alcuni enti fra cui l'Amministrazione Provinciale di Sondrio, la quale, avendo seguito fin dall'inizio con attenzione l'opera disvelatrice del Pace, non aveva mancato di sottolineare in sede regionale la necessita' di una opportuna tutela delle incisioni reperite e dell'intera zona potenzialmente archeologica. Nel 1973, la Commissione provinciale per l'individuazione delle zone di possibile tutela-istituita come emanazione della Commissione per la salvaguardia dei parchi lombardi promossa dal Consiglio regionale - approvo' unanimemente la proposta di istituzione di una riserva naturalistica-archeologica-monumentale a tutela dei colli grosini, ascrivendo l'iniziativa ai primissimi posti nel nutrito elenco relativo alla provincia di Sondrio. Alla redazione della scheda scientifica prevista, provvide, per incarico della commissione, di cui era membro, lo stesso archeologo scopritore.
Nel medesimo anno (1973), la Marchesa Margherita Visconti-Venosta, ultima erede dell'illustre casata valtellinese e proprietaria dei castelli e di gran parte del territorio interessante il parco, rese nota la sua volonta' di donare i resti dei castelli e gli adiacenti terreni, allo scopo di accelerare la costituzione della riserva.


I CASTELLI DI GROSIO


di Gabriele Antonioli

Ai vari motivi di interesse culturale e turistico offerti dal Parco delle Incisioni Rupestri di Grosio va aggiunto quello costituito dal complesso dei castelli di S. Faustino e del "castrum novum". Essi sono posti sulla sommita' del colle che si innalza alla confluenza della valle del Roasco con quella dell'Adda e rappresenta un tipico esempio di "castello gemino", tipologia riscontrabile anche nei castelli del dosso Grumello presso Sondrio per restare nell'ambito valtellinese.
Tre sono le vie per accedervi, tutte estremamente suggestive e percorribili a piedi. Due partono a monte dell'abitato di Grosotto, appena passato il ponte sul Roasco: la prima attraversa i castagneti del dom e, seguendo la mulattiera militare, conduce al lato Ovest dei castelli; la seconda e' costituita dalla antica via di accesso al castello vecchio e si inerpica sul versante orientale del colle giungendo ai piedi dell'absidiola della cappella dei SS. Faustino e Giovita. La terza si stacca dalla statale dello Stelvio a Nord della Centrale AEM e, costeggiando le balze rocciose di raspagan, supera il dos del cap e conduce alla scaletta intagliata nella "rupe magna" che costituisce l'accesso al lato nord del "castello nuovo".

IL CASTELLO VECCHIO O Dl S. FAUSTINO

La costruzione piu' antica fu realizzata attorno al X-XI sec. sulla estremita' meridionale del dosso ed e' comunemente detta, anche nei documenti, castello di S. Faustino dal nome del martire romano titolare, unitamente a S. Giovita, della cappella castellana. Il culto per questi santi, gia' venerati sull'Isola Comacina e la presenza di una rilevante immigrazione proveniente dal centro Lario, documentata a partire dal XI sec., testimoniano una costante influenza comasca esercitata nella zona a partire dall'epoca romana. I pochi ruderi rimasti permettono l'identificazione del perimetro e una lettura parziale della planimetria.
Su di essi svetta il campaniletto romanico, restaurato nella parte superiore verso la fine del 1800, attiguo alla piccola cappella che conserva, al centro del presbiterio, due sepolcri medievali scavati nella roccia.
La relativa angustia del fabbricato, costretto a seguire la morfologia dell'altura, fa pensare piu' che a un'opera difensiva vera e propria ad una prestigiosa affermazione del potere del feudatario cui pertinevano Grosotto e Grossura, quest'ultima diventata successivamente Grosio. Doveva trattarsi comunque di un punto strategico importante come attesterebbe un interessante documento del 1150.
Il Vescovo di Como Ardizzone, dal quale dipendeva tutta la pieve di Mazzo con le relative fortificazioni, sottraeva ad Artuico VenoSta il castello di Grosio per darlo al piu' fidato Bertario de Misenti.
Solo successivamente nel 1187, placate le contese, il Vescovo Anselmo reinvestiva Egano Venosta del castello con una rendita di 60 moggie di grano da esigersi in Grossura. Da allora competera' alla famiglia Venosta la custodia di questo castello e anche della nuova struttura costruita nel XIV sec.

IL "CASTRUM NOVUM"

Fra il 1350 e il 1375 sorse, per volere dei Visconti e col contributo di tutta la valle, il "castrum novum". Questa nuova costruzione fu concepita per rispondere a mutate esigenze strategiche e non per contrapporsi o rivaleggiare col vecchio castello di S. Faustino come supposto da taluni. Nel 1376 l'esercito visconteo al comando di Giovanni Cane, fiancheggiato da elementi locali capeggiati da Olderico Venosta detto Felino, nella impossibilita' di forzare Serravalle, passando attraverso la Val Grosina calavano su Bormio sottomettendola a Milano come era gia' avvenuto prima per il resto della Valtellina. A questo battesimo di fuoco non seguirono altri fatti d'arme che coinvolgessero direttamente il castello fino al 1526 quando il Governo delle Tre Leghe, nuovo signore della Valtellina, ordino' lo smantellamento di tutte le fortificazioni esistenti in valle. Benche' allo stato di rudere, esso costituisce l'esempio meglio conservato e piu' interessante dal punto di vista castellologico di tutta la provincia di Sondrio.
La vastita' della costruzione, non certo destinata ad accogliere la popolazione locale che aveva nei monti circostanti rifugi ben piu' sicuri e la complessita' dello schema difensivo non abituale nelle vallate alpine lasciano aperti numerosi interrogativi.
L'insieme della possente cinta muraria e delle numerose torri, offrono un eccellente coup d'oeil, accentuato da un mirabile effetto prospettico per chi osserva dal basso.


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