I VISCONTI VENOSTA

IL MARCHESE GIOVANNI - ULTIMO DEI VISCONTI VENOSTA



Una tranquilla vita di campagna
Giovanni e i suoi fratelli
La famiglia
Morte a Berna
La malattia
L'eredita'
La ballata del prode anselmo

Edito dalla Scuola Media Statale di Grosio. Ricerca svolta dagli alunni della classe III A:

Esattamente quarant'anni fa la nostra scuola veniva intitolata al Marchese Giovanni Visconti Venosta, ultimo esponente di una nobile famiglia che a partire dal lontano Medioevo tanta parte ha avuto nelle vicende grosine (e, piu' in generale, valtellinesi).
A nessuno e' mai venuto in mente di saperne di piu', ed e' pertanto da ritenere oltremodo lodevole l'iniziativa dei ragazzi di III A di indagare sul Marchese Giovanni, personaggio certamente poco noto alle nuove generazioni, ma che i nostri vecchi ricordano ancora bene e che fu testimone diretto delle piu' importanti azioni politico-diplomatiche italiane nella prima meta' del nostro secolo.
La quasi totale assenza di documenti ha messo gli alunni nelle reali condizioni di sperimentare che cosa effettivamente significhi fare ricerca. L'attivita' infatti, intrapresa all'inizio dell'anno scolastico e portata avanti per parecchi mesi, non si e' limitata alla semplice consultazione di libri e giornali d'epoca, dai quali peraltro s'e' ricavato ben poco. La classe si e' impegnata al massimo scrivendo e contattando enti e persone che potessero in qualche modo fornire notizie utili al riguardo. E bisogna dire che non e' stato lasciato nulla di intentato: per rendersene conto, basta leggere l'introduzione e dare un'occhiata alla bibliografia.
La fatica, alla fine, e' stata premiata. Ne e' risultato un lavoro ben fatto e, cosa rimarchevole, del tutto inedito. Per questo si e' ritenuto giusto e opportuno che fosse dato alle stampe, in modo da ottenere un volumetto che rimanga alla scuola come documentazione dell'attivita' svolta.


Grosio, 31 marzo 1993
IL PRESIDE
Giovanni Grassi



UNA TRANQUILLA VITA DI CAMPAGNA


Le prime vicende dei Venosta, che erano di origine alto-atesina e che diedero alla storia della Valtellina una serie di importanti personaggi, risalgono all'anno Mille.

GLI AVI
Il primo discendente a stabilirsi definitivamente in Valtellina fu un certo Ghebardo (1187-1226), che scelse come dimora il castello di Pedenale a Mazzo. Da quel momento i possedimenti della famiglia aumentarono e si moltiplicarono i rami collaterali. Uno di questi rami ricevette in dono dal vescovo di Como il castello di San Faustino a Grosio.
Il Castello di Grosio, costruito fra il 1350 e il 1375 per volonta' dei Visconti di Milano, fu smantellato dai Grigioni nel 1526
La villa dei Visconti Venosta a Grosio. Fu ristrutturata alla fine del secolo scorso dal Marchese Emilio, che ne fece una residenza prevalentemente estiva.
A Ghebardo segui' Corrado Venosta (1226-1278), signorotto intraprendente che fu piu' volte trascinato in guerre e tenzoni. Mori' in circostanze mai chiarite e durante la sua vita fu un tipico esempio di avventuriero medioevale.
Nel Quattrocento i Venosta strinsero rapporti di amicizia con la potente famiglia dei Visconti di Milano e a suggello di tale legame Filippo Maria Visconti diede il suo consenso a che essi aggiungessero al proprio cognome anche il loro. E fu cosi' che nacquero i Visconti Venosta.
Quando si trasferirono nel "castello nuovo", Vi rimasero fino alla dominazione dei Grigioni, che lo distrussero parzialmente costringendo i proprietari a cercar casa in paese. In tale circostanza essi presero possesso della parte vecchia della Villa.
Marcantonio Venosta, detto "il grosso", fu tra i protagonisti del "sacro macello" del 1620. Durante il sanguinoso episodio la Villa fu saccheggiata e incendiata, ne' valse a restituirle il perduto patrimonio la sua riedificazione avvenuta verso la fine del Seicento ad opera del gesuita Marcantonio, omonimo pronipote del "grosso".


Villa Visconti Venosta:




In eta' illuminista troviamo Nicola (1752-1828), uomo dotto, appassionato di archeologia e non privo di vena letteraria. Grazie alle sue "memorie" fu possibile ricostruire l'albero genealogico della famiglia.
Francesco (1797-1846), figlio di Nicola, nel 1823 ando' ad abitare a Milano e si occupo' di problemi sociali ed economici, e' da ricordare il suo volumetto "La Valtellina nel 1844", che contiene indagini statistiche sulle condizioni umane e ambientali della provincia di Sondrio nel primo Ottocento. Francesco ebbe tre figli: Enrico, Giovanni ed Emilio. Enrico mori' giovane, dopo aver vissuto all'ombra dei fratelli. A Giovanni (1831-1906), che fu un personaggio chiave del movimento risorgimentale in Valtellina e che amo' a sua volta la letteratura, si devono i "Ricordi di gioventu", opera fondamentale per conoscere abitudini, segreti e retroscena di famiglia, e la celeberrima ballata del "prode Anselmo ".
Ma la figura piu' emblematica della casa fu senz'altro Emilio Visconti Venosta (1829-1914). Laureatosi in giurisprudenza a Pavia, prese anche lui parte attiva alle vicende militari e politiche del suo tempo, dapprima aderendo agli ideali repubblicani e successivamente facendosi cavouriano. Di Cavour sposo' addirittura una pronipote, Maria Luisa Alfieri di Sostegno (1852-1920), lontana discendente dello scrittore Vittorio Alfieri, e da lei ottenne il titolo di Marchese. Quando intraprese l'attivita' politica non tardo' a rivelare insospettabili doti di statista. La sua fama e' soprattutto legata alla carriera di Ministro per gli Affari Esteri del Regno, che ricopri' per ben sette volte e che gli permise di sottoscrivere, nel 1864, la storica "convenzione di settembre" coi Francesi sulla "questione romana". Ma veniamo ora alla figura del Marchese Giovanni.



GIOVANNI E I SUOI FRATELLI


Giovanni Maria Visconti Venosta, nato a Milano l'11 luglio 1887, ultimo di cinque fratelli (Paola, Carlo, Francesco, Enrico e Giovanni), era figlio di Emilio che, come abbiamo gia' detto, fu un importante ministro dell'Italia postunitaria, ed era imparentato col Cavour perche' sua madre, Maria Luisa Alfieri di Sostegno, era nipote del grande statista piemontese. I tre fratelli Enrico, Carlo e Giovanni erano notevoli per ingegno e doti naturali, fermi nel carattere e risoluti nelle loro decisioni e posizioni politiche e' noto, ad esempio, che non accettarono compromessi col fascismo. Essi ereditarono dagli avi materni tre castelli: il primo a Santena, il secondo, castello Alfieri, a San Martino Alfieri in provincia di Asti, e il terzo a Magliano Alfieri in provincia di Cuneo.
Carlo, essendo il primogenito maschio, portava anche il titolo di Conte di Cavour, ereditato dalla madre. Alla morte dei fratelli, Giovanni eredito' tutti i titoli della famiglia: Marchese di Brelio, Marchese di Sostegno, Marchese di Ca' del Bosco, Cavaliere d'onore e di devozione dell'Ordine di Malta, Marchese di Avigliana, Conte di Isolabella e Signore di Valdichiesa.
Carlo e Giovanni, sempre malaticci, fecero della loro vita una sorta di sfida al destino. Carlo, come Enrico, scriveva poesie e se ne conservano ancora negli archivi della villa Visconti Venosta di Grosio.
I genitori del Marchese Giovanni (Emilio e Luisa Alfieri di Sostegno) in due ritratti d'epoca.
Enrico, maggiore volontario dell'esercito italiano, mori' nei pressi di Ravenna durante la guerra di liberazione: fu colpito da un ordigno esploso mentre attraversava un campo minato dai tedeschi (il museo della Villa di Grosio conserva ancora i suoi occhiali, che si ruppero' in seguito alla caduta a terra). E pensare che Enrico, da mesi ospite in una casa di salute, aveva ritrovato nuovo vigore proprio dopo aver saputo di poter partire per la guerra.
L'unica sorella, Paola, mori' a Roma per difterite ad appena nove anni di eta'. Papa' Emilio le era cosi' affezionato che volle intitolare alla sua memoria la Casa di Riposo (oggi Pensionato Anziani), fatta costruire in Grosio nel 1891.
Anche Francesco mori' giovane, appena diciottenne, per un attacco di appendicite.
Giovanni rinuncio' alla carriera letteraria per intraprendere quella diplomatica, che l'avrebbe tenuto a lungo lontano da casa. Tuttavia conservo' intatto il culto della famiglia e della sua privacy. Geloso della propria casa, il suo atteggiamento era aristocratico e il modo di parlare, di trattare la gente con tanta calma e semplicita', lasciava trasparire la profondita' della sua anima.



LA FAMIGLIA



EMILIO VISCONTI VENOSTA (padre) (1829-1914)




LUISA ALFIERI Dl SOSTEGNO (madre) (1852-1920)




I FIGLI:
PAOLA (1877-1886)
CARLO (1879-1942)
FRANCESCO (1880-1898)
ENRICO (1883-1945)
GIOVANNI (1887-1947)




MORTE A BERNA


Dal testamento del Marchese Giovanni:
"San Martino Alfieri, 11 settembre 1943".
Oggi, 11 settembre 1943, sano di mente e di corpo, scrivo le mie ultime volonta'. Credo in Dio. Desidero riposare a Grosio presso mio Padre e mia Madre.
Nomino erede universale di tutti i miei beni presenti e futuri la mia diletta consorte Margherita Pallavicino Mossi in Visconti Venosta".



LA MALATTIA


Giovanni Visconti Venosta era gia' da tempo sofferente di asma bronchiale e le sue condizioni di salute si aggravarono quando gli sopraggiunse una sinusite con polipi al naso che peggiorarono velocemente la sua respirazione.
Il professore di Roma dal quale era in cura ogni sei mesi gli toglieva i polipi e cosi' Giovanni tirava avanti con molta pazienza e coraggio. Certo, la cosa migliore da fare sarebbe stata quella di sradicarli completamente, ma il suo cuore non avrebbe resistito.
Un bel giorno qualcuno, non si sa chi, gli consiglio' di andare a Berna, dove c'era un luminare della medicina che forse l'avrebbe guarito.
I primi di novembre del 1947, si decise a ricoverarsi all'ospedale di Lundenhof per essere sottoposto a un delicato intervento chirurgico. A dimostrazione che per lui il momento era grave, si dice che prima di partire le sue ultime parole furono: "Tutto sara' disposto secondo la volonta' di Dio".
A Berna i medici, dopo aver valutato ogni possibilita' e tutti i rischi del caso, convennero sulla opportunita' di sradicare i polipi: in fondo, se l'operazione era rischiosa, lo era ancora di piu' il perdurare di un simile disturbo.
Risvegliatosi dopo l'intervento, che sembrava riuscito, il Marchese esclamo': "Che benessere!". Ma fu una breve illusione: qualche ora piu' tardi infatti declino' il capo e si spense. Erano le 12,25 del 14 novembre 1947.
Velia e Vincenzo, che con la Marchesa furono i primi ad apprendere la notizia per telefono, ne rimasero profondamente addolorati. Velia pianse a lungo, mentre Vincenzo, sulle prime, non reagi' ne' con le lacrime ne' con le parole. Ma dopo circa mezz'ora era a letto con 40 di febbre e ci rimase per otto giorni. Non pote' nemmeno venire a Grosio per i funerali.
Velia e Vincenzo erano particolarmente affezionati ai coniugi Visconti Venosta, che si erano occupati di uno dei momenti piu' belli della loro vita: il matrimonio. La Marchesa Margherita, infatti, aveva accompagnato Velia all'altare, mentre Giovanni si era dato da fare per predisporre in casa un rinfresco per gli invitati degli sposi, una quarantina di persone.
Mercoledi' 19 novembre, alle ore 9,30, si svolse a Grosio la cerimonia funebre. La salma era giunta in paese accompagnata, oltre che dalla consorte, anche dai parenti piu' stretti.
A rendere i primi omaggi di deferenza e di suffragio si notarono sotto il porticato della Villa numerose autorita' (fra cui il Provveditore agli Studi Bruno Credaro), esponenti del clero e una larga rappresentanza della popolazione.
I grosini non avrebbero piu' dimenticato lo sgomento che provarono alla notizia della sua morte. Non volevano crederci. Chiedevano conferma l'uno all'altro sperando che non fosse vero. Purtroppo lo era e il dolore si impadroni' di tutti.
La folla si ritrovo' sulla strada ad aspettare la salma, come era accaduto in occasione della morte di Emilio e della Marchesa Luisa, sua consorte, tumulati nel sepolcro di famiglia.
Il dottor Cesare Romedi, Presidente dell'Associazione Provinciale Combattenti, rievoco' la figura del defunto che chiudeva la successione dell'illustre famiglia.
Dopo la messa il corteo funebre, aperto dalle scolaresche guidate dai loro insegnanti, prosegui' per il cimitero dove il sindaco, Domenico Robustelli, reco' all'estinto il saluto del Comune e il nuovo prevosto, don Stefano Armanasco, quello della parrocchia (il vecchio prevosto don Domenico Giacomini era deceduto il precedente mese di giugno).
Parteciparono alle esequie anche i responsabili e i volontari della Croce Rossa, che ebbero nel Marchese un prezioso collaboratore e che rimasero molto scossi per la sua scomparsa.



L'EREDITA'


Il Venosta lascio' in eredita' alla Citta' di Torino il Castello di Santena con il relativo parco, la torre, i preziosi cimeli, una serie di quadri di gran pregio e altri oggetti di valore. Tutto cio' con la clausola che vietava modifiche della proprieta' pur potendo essere utilizzata come casa di riposo per studenti e artisti.
La Marchesa, che aveva gia' dato vita a un "Centro di Studi Cavouriani, Giovanni e Margherita Visconti Venosta, desiderosa di attuare la volonta' del compianto consorte, si sarebbe adoperata per costituire a Santena, nel 1955, una regolare fondazione "Camillo Cnvour" (la FIAT, che ebbe il Marchese fra i suoi piu' assidui consiglieri, concorse all'iniziativa storico-culturale con un contributo di lire 2 milioni in contanti).
A ricordo dell'amore di Giovanni per l'arte e del suo gusto per l'arredo, la moglie decise di non mutare la disposizione di mobili e suppellettili nel palazzo settecentesco di San Martino, rimasti quindi cosi' come li aveva sistemati il Marchese. Una sistemazione scrupolosa, di cui fu testimone il falegname del paese che trascorse un intero mese nell'edificio per disporre a puntino quadri e mobili. L'area comprende inoltre la cappella funeraria del Cavour, piccole case coloniche e ampi terreni da semina. Si trattava di un patrimonio di centinaia di milioni di lire. Usufruttuaria era la Marchesa consorte, che rimaneva anche erede dei possedimenti grosini: la Villa e il Castello.
Nel 1973 la moglie di Giovanni dono' ad un consorzio di enti locali la zona del Castello di Grosio, divenuta archeologica in seguito alla scoperta delle incisioni rupestri ad opera del prof. Davide Pace (agosto 1966). Quanto alla Villa, dopo la morte della Marchesa, avvenuta a Roma nel dicembre 1982, essa fu lasciata per disposizione testamentaria al nostro Comune, perche' la trasformasse in museo.
Il piccolo e quieto camposanto di Grosio custodisce le spoglie del Marchese accanto a quelle della moglie, dei fratelli e dei suoi avi (l'unico che manca e' il fratello Carlo, sepolto a Santena).





Il 22 dicembre 1947 anche a Santena fu celebrata una messa solenne per il compianto Marchese, ordinata dal municipio. Vi prese parte tutta la popolazione santenese con le varie autorita'. Fu un sincero tributo d'affetto e di stima alla memoria del defunto.



Menu Principale



LA BALLATA DEL PRODE ANSELMO



Da:RICORDI DI GIOVENTU' 1847-1860
Di GIOVANNI VISCONTI VENOSTA

Ed.Rizzoli

..... Sulla fine di quell'autunno scrissi uno scherzo poetico, al quale non e' mancata una certa notorieta' e che rammentera' qui seguendo l'ordine cronologico della mia narrazione.

Eravamo vicini alla riapertura delle scuole, e un giorno una buona donna, che abitava presso la nostra casa di Tirano, venne da me conducendo un suo figliuolo che era scolare di ginnasio, credo a Como. La madre mi disse che quel suo figliuolo era tutto mortificato, perche' non gli era riuscito di fare uno dei compiti autunnali datigli dal professore: veramente lo aveva principiato, ma non aveva saputo andare innanzi.

Il ragazzo quasi piangeva, e io, lasciandomi intenerire, mi offersi di finirgli quel disgraziato compito. Trattavasi d'una poesia, il cui argomento, scelto tra i molti che correvano per le scuole a quei tempi, era: La partenza del Crociato per la Palestina. Lo scolaretto aveva cominciata la sua poesia cosi':

Passa un giorno, passa l'altro
Mai non torna il nostro Anselmo,
Perche' egli era molto scaltro
Ando' in guerra e mise l'elmo...

Qui s'era fermato. Nel leggere quei versi mi baleno' una tentazione cattiva, ma irresistibile; dissi alla madre e al figlio che ritornassero il giorno dopo, e che la poesia l'avrei finita io.

Corsi nel mio studio, ripetei quei quattro versi declamandoli, e il seguito venne da se'.


LA BALLATA DEL PRODE ANSELMO

Passa un giorno, passa l'altro
Mai non torna il nostro Anselmo,
Perche' egli era molto scaltro
Ando' in guerra e mise l'elmo...

Mise l'elmo sulla testa
Per non farsi troppo mal
E parti' la lancia in resta
A cavallo d'un caval.

La sua bella che abbracciollo
Gli die' un bacio e disse: Va!
E poneagli ad armacollo
La fiaschetta del mistrà.

Poi, donatogli un anello
Sacro pegno di sua fe',
Gli metteva nel fardello
Fin le pezze per i pie'.

Fu alle nove di mattina
Che l'Anselmo uscia bel, bel,
Per andar in Palestina
A conquidere l'Avel.

Ne' per vie ferrate andava
Come in oggi col vapor,
A quei tempi si ferrava
Non la via ma il viaggiator,

La cravatta in fer battuto
E in ottone avea il gile',
Ei viaggiava, e' ver, seduto
Ma il cavallo andava a pié,

Da quel dì non fe' che andare.
Andar sempre, andare, andar...
Quando a pie' d'un casolare
Vide un lago, ed era il mar!

Sospettollo... e impensierito
Saviamente si fermo'.
Poi chinossi, e con un dito
A buon conto l'assaggio'.

Come fu sul bastimento,
Ben gli venne il mal di mar
Ma l'Anselmo in un momento
Mise fuori il desinar.

Il Sultano in tal frangente
Mando' il palo ad aguzzar,
Ma l'Anselmo previdente
Fin le brache avea d'acciar.

Pipe, sciabole, tappeti,
Mezze lune, Jatagan
Odalische, minareti
Gia' imballati avea il Sultan.

Quando presso ai Salamini
Sete ria incomincio'
E l'Anselmo coi piu' fini
Prese l'elmo, e a bere ando'.

Ma nell'elmo, il crederete?
C'era in fondo un forellin
E in tre di mori' di sete
Senza accorgersi il tapin

Passa un giorno, passa l'altro
Mai non torna il guerrier
Perche'egli era molto scaltro
Ando' in guerra col cimier.

Col cimiero sulla testa,
Ma sul fondo non guardo'
E cosi' gli avvenne questa
Che mai piu' non ritorno'.

Il giorno dopo, quando la madre e il figlio ritornarono il delitto era consumato. Ascoltai senza rimorso le parole della loro riconoscenza, e consegnai il foglio.

Passati alcuni mesi, mentre facevo un esame di laurea all'Universita' di Pavia, osservai che i professori mi guardavano con una certa curiosita', parlando piano tra loro, e ridendo. Finito l'esame, uno di essi mi accompagno' dicendomi: Dunque.. passa un giorno passa l'altro... e' lei l'autore della Ballata?

Allora, in bel modo, lo interrogai anch'io alla mia volta, e seppi che aveva avuto il mio Crocitato da un suo amico professore a Como; forse il professore di quel famoso studente.

Da quel giorno il Crociato peregrino' lungamente a mia insaputa, e me lo trovai dinanzi ogni momento, ora diminuito, ora accresciuto, e spesso spropositato.